martedì 7 dicembre 2010

La strana coppia Berlusconi-Renzi

Sui giornali ha avuto grande rilevanza la notizia dell'incontro di lunedi tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, il giovane e rampante sindaco PD di Firenze.
L'incontro si è tenuto ad Arcore, residenza privata del premier nonché rinomata sede di feste (e festini) quanto meno chiacchierati. Molti a sinistra già storcono il naso, dimenticando forse che il sindaco di Firenze non si considera un leader di sinistra.
Non a caso, durante l'incontro, Berlusconi ha dichiarato che Matteo Renzi gli somiglia molto.
Ma perché mai il buon Matteo ha deciso di salire poprio ora sul carro dell'ex vincitore, nel pieno del fuggi fuggi dei suoi stessi alleati?
Le spiegazioni possibili sono due. O Renzi è uno sprovveduto in cerca di facile notorietà, oppure ha capito che Silvio è tutt'altro che maturo per la rottamazione. E che forse questo è il momento buono per chiedere qualcosa, in cambio di qualcos'altro. Per esempio una buona parola con i moderati del PD e non solo, in vista del prossimo voto di fiducia.
Non va dimenticato che Silvio sarà forse un re morente, ma regna ancora su un impero sterminato fatto di giornali e TV, interessenze economiche e politiche di ogni tipo.
Una manna per uno che, legittimamente, vuole fare carriera e vuole farla in fretta.
Secondo Matteo Renzi, l'unico scopo dell'incontro era discutere degli interessi della città di Firenze. Chissà poi perché certi discorsi si debbano fare nella villa del premier e non nelle sedi istituzionali preposte.
Comunque sia, questa spiegazione ricorda molto quella data da Berlusconi circa i suoi frequenti incontri privati con Putin: 'faccio solo gli interessi del mio paese!'.
Non c'è che dire, i due si somigliano davvero.

foto da La Repubblica.it

giovedì 22 luglio 2010

il Don Giovanni (senza fortuna) di Palestina

Forse ne era davvero innamorato, forse no. Di sicuro, il trentenne di origine araba Sabbar Kashur sapeva di avere un solo modo per sedurre la ragazza israeliana di cui si era invaghito: fingere di essere ebreo anche lui. Così ha fatto. Pare che abbia avanzato anche proposte di matrimonio, promesse di marinaio evidentemente, anche perché il palestinese non poteva ignorare che i matrimoni misti in Israele sono meno frequenti delle mosche bianche.
Sta di fatto che la ragazza gli ha creduto e ha accettato di passare una notte con lui.
In amore tutto è permesso, si dice. Be’ in Israele non la pensano così. Quando la ragazza ha scoperto l’inganno ha denunciato il palestinese per stupro. E così quella che sarebbe potuta essere una storia d’amore tra ragazzi di due popoli storicamente nemici è diventata una brutta storia di cronaca . Tutto questo accadeva nel settembre 2008.
La corte di giustizia di Gerusalemme si è pronunciata di recente. Kashur è stato condannato a 18 mesi di carcere per violenza sessuale. Nelle motivazioni della sentenza si legge che la ragazza non ha subito violenza fisica, ma ha certamente subito violenza psicologica, perché, se avesse saputo che il ragazzo era palestinese, certamente non sarebbe andata a letto con lui.
La motivazione sembra strana, ma forse noi occidentali siamo abituati a dare ben poca importanza alle differenze religiose e a darne molto di più ai sentimenti e alle passioni. Non si capisce però perché tanto accanimento da parte dei giudici. Uno di loro Tzvi Segal ha dichiarato al Guardian: «Siamo obbligati a proteggere i cittadini dai criminali che ingannano le loro vittime, corrompendone corpo e anima. Quando viene a mancare la fiducia tra le persone, la Corte deve schierarsi dalla parte degli innocenti. Dobbiamo salvaguardare il loro benessere ed evitare che siano manipolati ed ingannati».
In altre parole, lo stato deve garantire che gli israeliani siano sempre ben distinti e riconoscibili dai palestinesi che vivono nel loro territorio, a dispetto delle apparenze o delle simpatie reciproche. Chiunque tenti di superare il muro invisibile che divide i due popoli è di per sé un criminale.
Forse non ne era consapevole, ma, con la sua bravata, Sabbar Kashur ha messo in discussione le basi del regime di apartheid che regna ancora oggi in Israele. 

mercoledì 21 luglio 2010

Le ceneri di Ceausescu

La memoria storica è un piatto che va servito freddo.
Capita di tanto in tanto che alcuni popoli sentano il bisogno di fare luce su eventi cupi e luttuosi del proprio passato. Una strana ostinazione li porta a rivangare fatti storici tumultuosi, anche a costo di attizzare vecchi rancori e grandi inimicizie. I crimini commessi durante i regimi o le guerre civili sono l’oggetto ideale per questi improvvisi flash back.
Molto spesso, infatti, la pacificazione dei conflitti viene siglata con il silenzio, le violazioni dei diritti umani, le atrocità commesse sono dimenticate in nome della concordia ritrovata.
Così è accaduto in Italia, alla fine della guerra, in Spagna dopo Franco e così è accaduto in Romania, alla fine del terribile regime di Nicolae Ceausescu, durato dal 1965 al 1989. Il 22 dicembre del 1989, nel pieno della rivolta popolare, Ceauscescu, che era stato un dittatore duro al limite del sadismo, tentò una fuga disperata all'estero. Venne però catturato e processato.
Il processo durò soltanto tre giorni. Le prove contro di lui erano schiaccianti, il suo stesso regime appariva un crimine agli occhi dei romeni infuriati. I giudici lo condannarono a morte senza esitazioni. Il dittatore e sua moglie vennero uccisi il 25 dicembre e sepolti in un cimitero di Bucarest.
Come capita spesso in casi del genere, oggi il ricordo di Ceausescu suscita ancora nella maggior parte dei romeni odio e rancore, ma anche una certa nostalgia, in molti altri. Ogni anno a Natale, l'anniversario della sua morte, qualcuno viene a depositare dei fiori sulla sua tomba.
In particolare, il genero del dittatore Mircea Opran, vedovo della figlia Zoe, durante tutti questi anni non ha smesso di chiedere una verifica delle circostanze della sua condanna a morte. In particolare è convinto che il suocero e la moglie siano stati sepolti in un altro luogo, non nel punto in cui effettivamente si trova la tomba.
Oggi un tribunale di Bucarest ha dato seguito alla sua richiesta e ha fatto riesumare i due cadaveri per procedere ai dovuti rilievi.
Pare però che lo stesso Opran abbia già riconosciuto il cadavere del suocero.
Qualunque cosa accada, probabilmente l'episodio non avrà particolari consguenze del punto di vista giuridico, certamente ne avrà dal punto di vista politico. Aver riportato alla luce le spoglie del dittatore è come aver riportato alla luce un passato contraddittorio e difficile. Sicuramente ha suscitato tra i romeni una forte impressione e forse anche qualche senso di colpa. A maggior ragione in piena crisi economica, in un momento in cui la nostalgia per il comunismo di Stato, in Romania e non solo, è quanto mai viva.

venerdì 16 luglio 2010

Il bambino è un prodigio (di tristezza)

Sul Corriere della Sera di oggi si legge la storia di un bambino, il piccolo Ettore, che vive a Perignano, un paese vicino a Siena. Ettore ha solo tre anni e all'apparenza sembra un bimbo normale. Da quando ne aveva due però è in grado di leggere i giornali, e non nel modo tipico dei bambini che imparano a leggere, bensì come un adulto di buona cultura. Tutto d'un fiato e senza incertezze. Non solo, pare che Ettore sia in grado di capire e di memorizzare ciò che legge.
Il fenomeno non è sfuggito ai pediatri della zona. Il primo ad accorgersene è stato un medico di San Gimignano, il dottor Celandroni, durante una visita di controllo. Il bambino infatti ha cominciato a leggere i nomi scritti sulle scatole dei medicinali alle sue spalle. Per un bimbo di due anni era un prodigio e infatti da quel momento Ettore è conosciuto nella zona come un genio in erba. Tra l’altro, da allora, il bambino ha fatto progressi.
Al ‘Corriere’ i genitori dichiarano fieri che il piccolo Ettore è in grado di leggere da solo tutti i giornali, che conosce i nomi dei ministri e delle massime cariche dello Stato. Fedele alla sua ‘antica’ passione per i nomi dei farmaci, sarebbe addirittura in grado di consigliare il medicinale adatto a seconda del tipo di disturbo. Dulcis in fundo, il bambino è in grado di consultare il televideo e di consigliare ai genitori i programmi televisivi da guardare .
Pare invece che Ettore non dimostri nessun particolare interesse per i giochi e per le storie per bambini. Sono troppo banali e noiosi per lui.

Ora, nessuno sa cosa ci trovi di così interessante un bambino di tre anni nel resoconto quotidiano delle nefandezze d'Italia e del mondo, quale misterioso fascino abbiano per lui i nomi di Alfano, di Schifani o di D'Alema, quanta gioia gli provochi sapere a cosa servono la Tachipirina o il Buscopan.
Di certo il piccolo Ettore, come spesso accade ai bambini prodigio, rischia di diventare un adulto parecchio triste.

giovedì 8 luglio 2010

Il polpo alla tedesca



L’ormai noto polpo Paul, celebre oracolo tentacolare ospitato nell’acquario di Oberhausen, è in grave pericolo. Dopo aver azzeccato tutti i risultati della nazionale tedesca, compresa la sconfitta di ieri sera contro gli spagnoli, il cefalopode si è guadagnato la fama indiscussa di indovino. Ma anche l’antipatia dell’intera Germania. Alcuni giornali (tra tutti l’Hamburger Abendblatt) oggi auspicavano una fine violenta del polpo: fritto, grigliato o bollito. Come accade dai tempi di Cassandra, anche nella Germania del 2010 l’indovino che predice sventura viene identificato con la sventura stessa. Poco importa che si tratti di un animaletto del tutto ignaro delle conseguenze delle sue previsioni.

Intanto, la minaccia è stata presa con ironia dal primo ministro spagnolo Zapatero, che oggi ipotizzava l’invio nell’acquario tedesco di una squadra di bodyguard. La ministra della pesca Elena Espinosa sembrava invece serissima quando ha detto di essere pronta a chiedere in sede di Unione Europea una moratoria temporanea della pesca del polpo (non si sa come faranno gli spagnoli senza il ‘pulpo alla Gallega’).

Isterismi a parte, se non finirà in pentola, il polpo Paul verrà interpellato anche sull’esito della finale tra Olanda e Spagna. Comunque vada, uno dei due paesi finalisti lo odierà a morte.
Per equità gli inservienti dell'acquario dovrebbero lasciargli anche la possibilità di astenersi.

La guerra fra poveri

Il 2 marzo 1968 Pier Paolo Pasolini scrisse una poesia diventata celebre. In quell’occasione il poeta prese posizione in modo clamoroso a favore dei celerini, i poliziotti che avevano caricato i giovani sessantottini durante la famosa contestazione di Valle Giulia.
Un passo della poesia recita: “quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte coi poliziotti/ io simpatizzavo coi poliziotti!/ Perché i poliziotti sono figli di poveri. /Vengono da periferie, contadine o urbane che siano…”
Pasolini stava coi celerini perché erano più poveri, i sottoproletari mal pagati e mal istruiti. I manifestanti invece erano studenti universitari, che allora era come dire ‘figli di papà’.
Ancora Pasolini: “A Valle Giulia, ieri / si è così avuto un frammento/ di lotta di classe: e voi amici/ (benché dalla parte della ragione)/ eravate i ricchi.”
La poesia suscitò ovviamente una polemica violenta, il movimento studentesco bollò Pasolini come traditore, ma il poeta non cambiò mai idea.
Anche oggi, nei pressi di Montecitorio e di fronte a Palazzo Grazioli si sono scontrati manifestanti e polizia. Stavolta le proteste erano animate dai cittadini dell’Aquila e dell’Abruzzo, che volevano far arrivare la loro voce fin sotto le finestre del Parlamento e davanti alla residenza romana del Premier, ormai identificata come il centro del potere che conta in Italia. Gli abruzzesi chiedono una legge organica, dopo tante parole, che possa far ripartire la ricostruzione, creare lavoro e dilazionare il pagamento delle tasse (come aveva promesso in pompa magna Berlusconi il giorno dopo il terremoto).
Nonostante la manifestazione fosse dichiaratamente pacifica, la polizia aveva l’ordine di non fare arrivare nessuno nel Santa Sanctorum del potere. Cosa che, giustamente, i manifestanti non hanno potuto sopportare. Dopo che è stato negato loro l’accesso alle loro città distrutte, non possono tollerare di vedersi negare anche il diritto alla protesta.
Il risultato è che sono volate spinte, manganellate e percosse. Alcuni manifestanti sono rimasti feriti e il centro di Roma si è trasformato in una piccola zona di guerra tra poveri.
Tornando a Pasolini mi chiedo da che parte starebbe oggi: con i senzatetto dell’Aquila, senza casa e senza lavoro, o con i celerini, ancora oggi mal pagati e mal trattati, costretti a fare da guardiani alla villa del padrone del Paese.
Forse, semplicemente,  il poeta oggi sarebbe rimasto in silenzio.

lunedì 5 luglio 2010

"No animali, no omosessuali"

Sul sito di Repubblica ieri è comparso un articolo che getta una nuova luce sul modo in cui l’omosessualità è considerata nel nostro paese. Su numerosi siti e giornali che ospitano offerte di case in affitto compaiono annunci del tipo: “no animali, no omosessuali”. Il fenomeno si presenta geograficamente indistinto, da nord a sud, da Como a Catanzaro. Se l’Italia non l’hanno fatta gli italiani, forse la faranno gli omosessuali, loro malgrado. L’omofobia infatti è uno dei pochi ‘sentimenti condivisi’ che vanno forte tra le masse più o meno istruite di questo paese.
Pare che i Gay, maschi e femmine, fatichino parecchio a trovare casa, soprattutto se sono studenti e hanno bisogno di una stanza. Sembrerà sorprendente, eppure i più restii a ospitare omosessuali sono proprio i giovani istruiti. La classe dirigente del futuro.
A questo punto urge una premessa: nessuno è esente dai pregiudizi. Gli stereotipi e i pensieri vagamente razzisti colpiscono tutti. Strisciano come anguille sottotraccia nell’inconscio delle persone. A tutti, almeno una volta, sarà capitato di accorgersi improvvisamente di avere mancato di rispetto, di provare timore o disprezzo verso una persona ‘diversa’, sia essa un gay, un immigrato o una persona diversamente abile. Già accorgersene è un buon segno.
Certi stereotipi sono parecchio radicati e superano ogni possibile livello razionale. Per esempio, l'opinione più diffusa sugli omosessuali è quella di individui portatori di malattie, vestiti in modo stravagante e sessualmente pervertiti. Averli sullo stesso pianerottolo o addirittura in casa deve sembrare a qualcuno come portarsi in casa Sodoma, il diavolo e la dannazione eterna. La chiesa naturalmente ci ha sempre messo del suo.
Eppure, al padrone di casa intrugnito e omofobo basterebbe fare un ragionamento semplice semplice per rendersi conto di due cose. Primo, un omosessuale è una persona come tutte le altre. Non ha maggiori pregi o difetti e averlo in casa non comporta più rischi di un qualsiasi etero. Nessuno è buono o cattivo per natura, tantomeno per inclinazione sessuale.
Secondo punto: statistiche alla mano, i gay sono mediamente più istruiti, hanno buona cultura, ottimo gusto e grande rispetto per il luogo dove vivono. Solitamente sono meglio occupati e guadagnano di più della media. Questo significa che possono essere ottimi inquilini.
Purtroppo per arrivare a queste semplici conclusioni occorre informarsi, capire e soprattutto pensare.
Peggio ancora è quando questo genere di preconcetti condiziona la vita pubblica, il modo di agire di parlamentari, professori universitari, giornalisti e imprenditori. Gli esempi negativi non mancano.
Ogni atto di discriminazione è un passo indietro, un’occasione persa che paghiamo già oggi a caro prezzo. Le innovazioni e le idee, infatti, vanno a braccetto con il senso del rischio e con l’anticonformismo, parola ormai desueta. Il mondo va esattamente in quella direzione e i più furbi l'anno capito.
Un esempio: in occasione del Gay Pride, la Fiat ha lanciato una serie di 500 Gay-friendly:  c’era il modello Lesbo, quello Drag queen, il modello Leather e quello Peluche, tutta coperta di peli tipo Teddy Bear. Pare che l’idea abbia suscitato un certo successo, anche commerciale.
Peccato che tutto ciò sia avvenuto in Spagna. In Italia, come sempre, i tempi non sono ancora maturi.