venerdì 25 giugno 2010

"Nur Italien nicht": che vinca il migliore, ma non l'Italia...

Non so se ve ne siete accorti. Appena si è diffusa la notizia dell’eliminazione dell’Italia, mezzo mondo ha fatto festa. Ieri sui siti dei giornali di quasi tutti i paesi sono comparse frasi ironiche all’indirizzo della squadra di Lippi: “Ciao ciao, Arriverderci Italia, Ridiculos,” e altre meno simpatiche. Su facebook e twitter non si contano gli sberleffi da parte degli stranieri. 
Ora, è normale che l’umiliazione della squadra campione faccia notizia. Altrettanto comprensibile è il sollievo delle nazioni ancora in gara nel vedere uscire un concorrente temibile (sulla carta). Al netto di queste considerazioni, però non si spiega perché l’Italia e gli italiani stiano sulle scatole a mezzo mondo. Nemmeno la Francia è riuscita a superarci in questa speciale classifica. Non è bastato scegliere come allenatore l’odioso Domenech e una squadra di giocatori boriosi e nevrotici. I più odiati siamo ancora noi. C’è una canzoncina di un gruppo comico che spopola in Germania. Più o meno dice che possono vincere tutti tranne l’Italia “nur Italien nicht”, perché l’italia non si sopporta. Sarà che brucia ancora la sconfitta del 2006 o quella nella finale dell’ultima Champions League, persa dal Bayern contro l’Inter, ma l’impressione è che ci sia qualcosa di più. 
Per anni gli italiani sono stati additati come la squadra dei tuffatori, dei provocatori, dei piagnoni infidi e catenacciari. Provate fare il nome di Tassotti agli spagnoli, di Materazzi ai Francesi e o di Grosso agli Australiani, per capire di cosa stiamo parlando. Non va meglio con le squadre di club. L’Italia è vista come la tipica squadra che corre poco, aspetta l’avversario e colpisce a tradimento in contropiede. Così molti stranieri immaginano gli italiani: il popolo della ‘dolce vita’ e dell’alta moda, che vive sempre un tantino al di sopra delle sue possibilità e fatica poco. Il tutto senza ombra di serietà e di onestà. 
E i nostri politici, governo in testa, non ci aiutano molto.
A questo punto viene da dire che non tutti i mali vengono per nuocere. Una sconfitta così disastrosa non potrà che renderci un po’ più simpatici. D’altra parte gli azzurri di Lippi hanno perso, male, ma non hanno avanzato scuse patetiche. Hanno simulato poco e a ben vedere hanno fatto pochissimo catenaccio. Viene quasi da dire che l’Italia è stata la meno ‘italiana’ di tutte le squadre di questo mondiale. 

Visti i risultati, forse la prossima volta sarà bene ripensarci.

mercoledì 23 giugno 2010

Marchionne vince, anzi no

L’Italia è un paese strano. Questo deve aver pensato l’italo-svizzero-canadese Sergio Marchionne quando ha saputo l’esito del referendum sul contratto di lavoro della fabbrica di Pomigliano. La sua proposta ha vinto, e bene. Il 62% dei lavoratori ha accolto favorevolmente le nuove condizioni da lui poste per il trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia all’Italia. Nella sostanza, però, Marchionne ha perso su tutta la linea. In primo luogo perché non è riuscito nell’intento di coalizzare i lavoratori intorno al suo progetto di rilancio della fabbrica del sud. Il 62% dei sì (sul 95% degli operai che hanno votato) può sembrare una percentuale elevata, ma non in una fabbrica come Pomigliano. Il 38% di lavoratori contrari è una percentuale troppo alta e inaspettata anche per lui, che tutto vede e prevede. Ciò significa un futuro di contestazioni, scioperi frequenti e ad alta partecipazione, piccoli e grandi sabotaggi. Marchionne voleva una fabbrica allineata e silente, una struttura di tipo militare simile alla fabbrica di Tychy in Polonia, che, numeri alla mano, sforna automobili a ritmi quasi inumani. Oggi invece Sergio Marchionne sa di avere in mano una bestia indocilita dalle minacce, ma sempre pronta a imbizzarrirsi. Il risultato atteso era almeno l’80% dei consensi. A Torino gira già voce che il piano salterà e che la Panda resterà in Polonia. E qui sta la seconda, clamorosa sconfitta di Marchionne, che ha voluto fortemente questo piano e ha imposto il referendum agli operai. Adesso che ha ottenuto il sì, quell’accordo è tenuto a rispettarlo. Gliel’hanno già ricordato la Cisl e il governo (to’ chi si rivede). Chiudere Pomigliano adesso significa sbattere la porta in faccia a quasi tutti i sindacati, alla Confindustria, ai politici, oltre che dire addio a una buona fetta del mercato in Italia. Non c’è dubbio che, dopo lo smantellamento di Termini Imerese, una nuova chiusura al Sud sarebbe fatale, oltre che per l’economia della regione, anche per l’immagine del gruppo.
A Marchionne, che si dice sia un buon giocatore di briscola, resta una sola soluzione ragionevole: tornare al tavolo delle trattative, ridare le carte e smettere i toni del piccolo Henry Ford.
In gioco c’è la sopravvivenza di migliaia di operai, ma anche della stessa Fiat.

lunedì 21 giugno 2010

Il fascino discreto dell'ignoranza.

Lo strafalcione è sempre più di moda. Anzi fa chic, non c'è dubbio. I politici fanno scuola, i giornalisti ne sono ormai maestri. Per non parlare di studenti e perfino professori. Nell'epoca dei correttori automatici conoscere l'ortografia è un optional, congiuntivi e passati remoti saltano come se niente fosse. Per non parlare dei termini stranieri, abusati e massacrati, dei luoghi geografici e delle date storiche. Tutto un fiorire di errori che dicono quanto il sapere sia in voga. Ben poco. D'altra parte basta ricordare che la scuola italiana è da sempre la vittima sacrificale prediletta dei tagli di ogni finanziaria che si rispetti. Certo, c'è ancora tanta gente che si indigna quando sente uno svarione alla tivù. Alcune trasmissioni televisive campano sugli errori dei famosi. Eppure è un'indignazione vana, un ridere a vuoto. L'ignoranza ha testimonial troppo importanti per non prevalere. È quasi uno Status Symbol. Chi non sa piace, perché fa sentire immensa la cultura di coloro che sanno qualcosa. E poi l'ignorante pare spiccio, di poche parole (sbagliate), ma di grandi azioni. L'uomo del fare deve essere anche un po'sgrammaticato per essere credibile.
Tra le donne, poi, il massimo del trendy è la bellona idiota. Sembra non ci sia nulla di più attraente per il maschio italico della bella figliola ignorante e stupidotta. Pensate alla trasmissione la Pupa e il Secchione, ma anche a importanti telegiornali, che hanno avallato lo stereotipo della belloccia ignorante che ha successo perché ha intenerito qualche pezzo da novanta.
I VIP non si contano. Non farò nomi, non è bello dare dell'ignorante a qualcuno. Potrei citare il rampollo di una conosciuta compagnia di automobili italiana, famoso per alcune movimentate vicende mondane e per il congiuntivo ballerino. Oppure il giovane figlio di un ministro del Nord Italia, orgogliosamente pluriripetente, oggi politico acclamato. Il suo soprannome è la Trota. Gliel'ha affibbiato suo padre, non certo per la sua cultura raffinata.
C'è un famoso detto di Goebbels, capo della propaganda nazista: “quando sento parlare di cultura, mi viene voglia di mettere mano alla pistola.” Voleva dire che la cultura è sospetta, elitaria, noiosa e inconcludente, quindi va combattuta. L'ignoranza invece è pura, semplice, primitiva. Soprattutto è manipolabile. A quali esiti abbia portato questa filosofia purtroppo lo sappiamo tutti. Anzi forse qualcuno non lo sa: è troppo ignorante.

venerdì 18 giugno 2010

Il Pomigliano della discordia

Un paio di mesi fa l’amministratore delegato della Fiat ha presentato alla stampa e agli interlocutori istituzionali il nuovo, ambizioso progetto industriale del gruppo. Si chiama Fabbrica Italia ed ha come simbolo (poca fantasia) un abbozzo di fabbrica sormontata da un tricolore. Il piano è una sorta di scommessa: aumentare la produzione delle automobili nel nostro paese, cioè rafforzare e modernizzare gli impianti, in un momento in cui tutte le grandi aziende mondiali sembrano colpite dal virus della delocalizzazione. L’investimento previsto è di due miliardi di euro, una cifra che ha fatto gridare al miracolo il segretario della Cisl, Bonanni. “Chi investirebbe oggi due miliardi di euro per produrre qualsiasi cosa in Italia?” Si è chiesto. Forse un pazzo, gli risponderebbe qualcuno.
Marchionne però non è pazzo. Infatti, le condizioni per il rilancio della produttività in Italia sono molto dure.
Lo stabilimento di Termini Imerese è spacciato. Quello di Pomigliano, lo vediamo in questi giorni, rischia grosso. In realtà l’offerta avanzata nelle ultime ore della casa torinese sembra piuttosto generosa: rilanciare la fabbrica con il trasferimento della produzione della Panda da Tychy appunto a Pomigliano. L’investimento previsto è di circa 700 milioni di euro. Ciò significa anni di prosperità nell’area e lavoro sicuro per i dodicimila operai della fabbrica e dell’indotto.
Le condizioni del nuovo contratto però sono dure da digerire. I turni di lavoro si allungheranno, il diritto allo sciopero sarà ridotto, i controlli sulla produttività degli operai saranno molto più rigidi e le giornate di malattia non saranno coperte per intero dall’azienda.
Sergio Cofferati ha definito la proposta l’apologia del ‘sistema polacco’.
La gran parte dei sindacati e, manco a dirlo, la Confindustria, hanno invece sottoscritto la proposta. Tra perdere tutto e privare gli operai di qualche diritto hanno preferito il male minore.
Solo la Fiom, l’ala del sindacato dei metalmeccanici più radicale, non vuole sentir ragioni, anche contro il parere dei vertici della Cgil di cui fa parte.
Questo accordo, secondo la Fiom, è un Cavallo di Troia che finirà con il distruggere il concetto stesso di contratto nazionale, creando condizioni di disparità ancora più netta tra nord e sud. D’altra parte, Marchionne sembra averlo previsto, il Sud Italia diventerà (se non lo è già) nei prossimi anni un surrogato della Romania, della Polonia o della Bulgaria, una sacca di povertà endemica da cui attingere forza lavoro a basso costo. Non a caso la Fiat ha avanzato queste condizioni in Campania, a Pomigliano, e non a Mirafiori.
Forse è vero, la Fiom sta combattendo una battaglia contro la storia, però non si può condannarla a priori per aver chiesto un margine di trattativa più ampio. La proposta di Marchionne suona come un ricatto: o questo o nulla. Come se fosse una gentile concessione. Un regalo al sud depresso, che, come tutti i regali, non ammette trattativa.
Pensandoci bene, quando Marchionne ha inventato Fabbrica Italia (perché non c’è dubbio che l’idea sia sua) ha capito due cose: primo, che l’’umore’ del mercato premia ancora l’auto prodotta in Italia; secondo, che fuori dall’Italia il gruppo Fiat non ha i numeri per sopravvivere. Non è competitivo, non ha appeal, ditelo come volete. A parte il Brasile, le quote di mercato della Fiat sono molto ridotte ovunque. E crescere in mercati mondiali ferocemente competitivi e in costante contrazione è pressoché impossibile.
In conclusione, la Fiat ha bisogno dell’Italia e dei suoi operai molto più di quanto Marchionne non voglia far credere.

martedì 15 giugno 2010

Gli 'Amici' di Marcello Lippi

Dopo aver visto la partita di lunedi della Nazionale, non si può fare a meno di essere colti dal dubbio che Marcello Lippi abbia impostato il mondiale azzurro sul cliché di Amici, la popolare trasmissione della quasi omonima Maria de Filippi.

In campo si sono viste molte facce nuove, alcune delle quali pressoché all’esordio. Tutti ragazzi dalla ‘faccia pulita’: Marchisio, Criscito, Montolivo, Pepe, Gilardino, che ragazzino non è, ma sembra sempre un debuttante. Nel secondo tempo si è visto pure il giovane portiere Marchetti, che per sua fortuna non è stato mai chiamato in causa dagli avversari.
Tutti hanno giocato con impegno, hanno corso e hanno reso la vita difficile a una squadra tutt’altro che fenomenale come il Paraguay. Tutti sono stati corretti, Fin troppo, tutti ordinati e attenti ai consigli diLippi. Mai una protesta, mai un calcione e neppure una bella simulazione, di quelle che ci hanno resi famosi nel mondo. L’unico ammonito è stato Camoranesi, vecchia testa calda, convocato in extremis.
A parte questa parentesi, gli Amici di Marcello si presentano bene, sono puliti e giudiziosi. Sanno di essere la faccia buona del nostro calcio (accanto a tante brutture) e fanno di tutto per dimostrarlo, sotto la guida bonaria dei compagni esperti: Zambrotta, Cannavaro, Iaquinta e Buffon, fin quando ce la fa. Mai un grido neppure da loro. Nemmeno dopo il goal subìto.
Insomma, l’italia è sembrata un bel gruppo di Amici, fotogenico ed educato.
D’altra parte, Nonno Lippi li vuole così. Belli e bravi. I cattivi li ha lasciati a casa a godersi le donne e i motori, i soldi e la fama. Peccato, perché tra i ‘cattivi’ c’è qualcuno che poteva fare la differenza, nel bene e nel male. Ci sono gli attabrighe, i simulatori, i ribelli di vario tipo. Ma ci sono anche i fuoriclasse, i discoli, quelli che a Scuola tirano gli aerei di carta e nel campo i ‘cucchiai’.
Il risultato è che, come in ogni Talent Show, fra gli Amici di Marcello si vede ben poco talento. Sembra soprattutto mancare l’uomo di genio, che affonda il colpo e risolve le partite. Infatti, il goal azzurro è stato un gentile omaggio del portiere del Paraguay e, guarda caso, l’ha segnato un ‘ex ragazzaccio’, quel De Rossi che quattro anni fa, in Germania, si fece espellere alla seconda partita per avere stampato una gomitata in faccia a un avversario. Meno male che non si è addolcito del tutto.
Non sarà un mondiale facile. Per adesso il pubblico pare aver gradito e la stampa è ancora amica di Maria, pardon, di Marcello Lippi.
Il televoto insomma è superato. Chissà se verranno anche le vittorie, quelle vere.

Tre banconote di grosso taglio

Tre banconote appena. Gli uomini della guardia di finanza di Ponte Chiasso hanno fermato un viaggiatore italiano residente a Como, che aveva in valigia soltanto tre banconote. Ma non banconote qualsiasi. Si tratta di due pezzi da cinquecento milioni di dollari dello Zimbabwe e di uno da un miliardo. Due pezzi viola, come i nostri  500 euro, e uno verde, come i nostri cento, ma con molti più zeri. Sarà carta straccia, direte voi. E invece no, le tre emissioni sono parecchio ‘pesanti’, anche al netto della fortissima inflazione di quel paese. Infatti i tre pezzi valgono in tutto almeno quattro milioni e mezzo di euro. Altro che ‘spalloni’, i leggendari corrieri del denaro che per anni (e forse ancora oggi) hanno sfidato le intemperie e la polizia di frontiera per esportare
valigie zeppe di denaro in Svizzera. Per le tre banconote dello Zimbabwe basta un portafoglio e una buona dose di coraggio. Non è difficile immaginare che la destinazione delle banconote fosse il caveau di una banca elvetica. Resta da capire perché lo Zimbabwe, paese molto povero, faccia emissioni di banconote di questo taglio.
Oppure no, è tutto molto più logico: probabilmente il corriere italiano colto in flagrante dai finanzieri ha ottimi e, soprattutto, potenti amici dalle parti di Harare.

Non c'è pace in america, dopo la fuga di petrolio la fuga di notizie

Mentre in Italia freme il dibattito sulle cosiddette ‘leggi bavaglio’, negli Stati Uniti è scoppiato un caso di spionaggio e di diffusione di informazioni top secret. Al centro di questa spy story c’è un signore australiano, Julian Assange, e il suo sito: Wikileaks. Si tratta di uno dei più seguiti e temuti siti di informazione indipendente, in grado di lanciare scoop di portata planetaria. Per citarne qualcuno: Wikileaks ha divulgato i ‘manuali’ segreti sul trattamento dei detenuti di Guantanamo, la lista degli iscritti al partito di estrema destra Inglese British National Party e altri documenti scottanti sull’Undici Settembre e sulle teorie sul riscaldamento globale. Assange è un uomo enigmatico, ha lunghi capelli bianchi, ma non è vecchio. Non si sa dove vive esattamente, anche perché è ricercato dalle polizie segrete di mezzo mondo. Si sposta continuamente e gestisce il sito attraverso un sistema diabolico di server che rendono vani tutti i tentativi di localizzarlo. Di certo Assange dispone di molto denaro, ma non paga le sue fonti. L’ultima in ordine di tempo è un giovane ufficiale di stanza in Iraq, di nome Bradley Manning, il quale ha ingenuamente rivelato a un ex hacker oggi giornalista, Adrian Lamo, di aver consegnato ad Assange almeno 260.000 pagine di documenti riservatissimi. Tutto gratis. Lamo, da buon cittadino, ha fatto regolare denuncia e Bradley Manning è finito in galera con l’accusa di alto tradimento. Julian Assange intanto ha fatto perdere le sue tracce, ma ha smentito di essere in possesso di quei documenti riservati. Anzi ha dichiarato di essere pronto a testimoniare in difesa del maldestro ufficiale.
Il Pentagono, in evidente imbarazzo, non si fida neanche un po’, anzi gli 007 americani ritengono la minaccia di Assange estremamente seria. Se fosse tutto vero, rischierebbe di finire su Wikileaks una buona quantità di documenti riservatissimi, report, strategie militari, coperture, forse atti illeciti compiuti in nome dell’interesse nazionale. Insomma, un’altra bella tegola per Obama.
Un assaggio di ciò di cui è capace, Julian Assange l’ha già dato. L’altro giorno ha annunciato dall'Islanda la pubblicazione sul suo sito delle immagini del raid di un elicottero Apache sulle posizioni afgane. Nell’attacco sono morti dodici civili, tra cui due giornalisti della Reuters. Il Pentagono per adesso sembra voler usare le buone maniere. I suoi emissari hanno proposto al fantomatico australiano un incontro, non si sa bene a che scopo. Non c’è nessun mandato di arresto nei suoi confronti e nessuna legge vieta la pubblicazione dei documenti riservati su Wikileaks. Più probabilmente gli agenti Usa metteranno sul piatto qualche milioncin di dollari, come se Julian fosse un bandito qualunque, un piccolo Goldfinger che si è messo in testa di ricattere l’america per soldi. Eppure, forse stavolta si sbagliano. I segreti, si sa, sono tali finché qualcuno non li svela. Da quel momento in poi sono storia. Chissà che il buon Julian Assange non abbia proprio questo in mente: passare alla storia come colui che ha messo in ginocchio la più grande potenza del mondo.

venerdì 11 giugno 2010

Privaci di tutto, ma non della Privacy

Con l’approvazione al Senato della legge che limita fortemente le intercettazioni e la pubblicazione sui giornali, si approssima l’affermazione in Italia di un principio assoluto: la privacy è più importante di tutto. E vale per tutti. Per i politici corrotti, per i truffatori incalliti e pure per i mafiosi, come ebbe a dire l’On.Santanché in parlamento, compiangendo il povero boss che viene intercettato pure quando parla con la mamma.
È la Privacy, baby, la parola magica che dovrebbe seppellire tutto e tutti. Benissimo, allora, se privacy deve essere, che privacy sia. Dopo questa legge, per parità di trattamento, i ragazzini dovrebbero richiedere l’abolizione dei compiti in classe e delle interrogazioni, rei di infrangere il loro diritto a essere intimamente ignoranti. I lavoratori dovrebbero smettere di andare al lavoro perché l’azienda o lo stato li costringono a mostrarsi in luogo pubblico e a orari precisi, altra orrenda violazione della privacy. E che dire poi delle persone che vanno in chiesa o allo stadio e rivelano inconsapevolmente la loro confessione religiosa o sportiva? Tutto vietato, a meno che ciascuno di essi non firmi ogni volta una bella liberatoria. Paradossi a parte ,cominciamo col bandire i programmi che vediamo in televisione, in cui si raccontano i fattacci delle persone. Vietiamoli una volta per tutte. Non sarebbe male neppure bandire da subito quei programmi populisti (tipo ‘e io pago’) che sguazzano nelle piccole corruzioni, nelle creste sulla spesa, nelle piccole grandi disfunzioni del Paese, senza mai sfiorare la prima e più grande disfunzione: chi lo governa e i suoi amici. Perché mettere soltanto i poveri cristi alla berlina? Liberiamo tutti e liberiamoci anche della spazzatura che invade i media giocando sul voyeurismo e sulla sete di rabbia dell’italiano medio. L’occasione è buona, anche per presentare il conto al signore che di tutto questo universo di schifezza mediatica è il garante e l’arbitro indiscusso. Forse allora sentirà il peso insostenibile che comporta essere insieme il padrone della tv e del Parlamento.
Diamo insomma un senso a questa oscena legge, che altrimenti farà soltanto danni irreparabili.

lunedì 7 giugno 2010

Pagati per dimagrire



Nei paesi occidentali l’obesità è una vera epidemia. Nonostante gli sforzi dei governi per promuovere l’attività fisica e un’alimentazione sana ed equilibrata, la lotta contro l’adipe sembra una partita persa. Preoccupa soprattutto l’obesità infantile, che ha le conseguenze più pericolose e durature. A parte le implicazioni estetiche, il grasso in eccesso provoca malattie cardiovascolari, depressione e disabilità varie. Cioè montagne di denaro pubblico speso in assistenza sanitaria e previdenza sociale.C’è già chi propone una tassa sul grasso o chi minaccia di escludere dalle prestazioni sanitarie gratuite le persone sovrappeso, sulla base del principio: mangi di più paghi di più. Nemmeno questa sembra la via più equa, anche perché sono proprio le classi più deboli ad alimentarsi in modo disordinato e a praticare meno sport. Poveri, ma obesi.
In Gran Bretagna, dove i due terzi della popolazione adulta sono sovrappeso, è stata sperimentata una nuova soluzione. Pagare le persone per dimagrire. Il Servizio Sanitario del Kent ha sottoscritto un accordo con una società privata, la Weight Wins, specializzata in programmi dietitici ‘alternativi’. A partire dal gennaio 2009 e per un anno, circa 400 persone sono state sottoposte a un programma che prevedeva un premio proporzionale a seconda del peso perduto. Altra condizione era conservare il nuovo peso il più a lungo possibile. Secondo Winton Rosseter, amministratore di Weight Wins, l’esperimento è stato un successo. Circa 100 persone hanno terminato il programma, perdendo in media 11 chili e circa il 5% del loro peso. I premi sono arrivati fino a 425 sterline a persona.
Naturalmente non mancano le voci contrarie. I critici fanno notare che almeno tre quarti dei partecipanti hanno abbandonato il programma prima della fine. Altri ricordano che le casse pubbliche inglesi, già provate dalla crisi, non possono tollerare questo genere di incentivi.
In realtà, dice Rosseter, il costo totale del progetto è stato di appena 108 euro a persona. 
L'amministratore di Weight Wins è talmente convinto della bontà dell'iniziativa che ha in progetto un programma ancora più ambizioso che prevede fino a 3000 sterline di premi per chi perde peso in modo significativo e non ingrassa per i successivi due anni.
Circa i dubbi sulla spesa pubblica Rosseter è perentorio: lo stato inglese spenderà circa 4,2 miliardi di sterline nei prossimi 5 anni a causa delle malattie connesse con l'obesità, col suo sistema spenderebbe molto ma molto meno.

Forse varrebbe la pena tentare di introdurre il sistema anche in Italia, anche se, c'è da scommetterlo, vedremmo migliaia di persone prendere peso in pochi giorni, dimagrire altrettanto in fretta e ingrassare ancora...

venerdì 4 giugno 2010

Somari ma belli

Qualche tempo fa una signora della Provincia di Latina ha fatto quello che ormai fanno molti genitori dopo la bocciatura del figlio. Ha accusato la sua insegnante di essere incapace, incompetente e prevenuta. La donna non si è accontentata di insultare la prof nei corridoi della scuola o per la strada, come fanno in tanti, ma ha messo le sue accuse per iscritto, con tanto di lettera firmata e affrancata.
Le espressioni che ha usato sono piuttosto esplicite: ha contestato all’insegnante ‘la mancata valorizzazione dei progressi del ragazzo’ e l’ha accusata di covare una ‘volontà di ingiusto trattamento dell’alunno.’ In chiusura ha dato il meglio di sé: “Lei non è degna di avere alunni come il mio Federico.’
L’ovvia conseguenza della lettera è stata una bella denuncia per ingiurie da parte della professoressa. Il tribunale di Latina, di fronte a prove così schiaccianti, non ha potuto che darle ragione. E così ha fatto anche la Cassazione che ha confermato la condanna. Le frasi usate dalla donna, dicono i giudici, sono lesive della sua dignità professionale.
E dire che la signora di Latina non è l'unica a pensarla così. Gli attacchi agli insegnanti sono ormai frequenti, anche perché la categoria è diventata un bersaglio facile delle accuse di fannulloneria e inutilità sociale.
Dopo una bocciatura sono spesso gli stessi genitori a ricorrere agli avvocati, alla ricerca di irregolarità e vizi di forma che possano invalidare il giudizio.
Un esempio illustre. Due anni fa il figlio di Umberto Bossi, l’ormai famoso Renzo detto la Trota, ha fatto ricorso contro la commissione che l’ha bocciato all’esame di maturità. Secondo lui il voto era stato condizionato dai pregiudizi dei commissari verso le idee politiche del padre. Con queste accuse ridicole, il ragazzo è riuscito a ripetere l’esame e a rimediare una nuova solenne bocciatura. Renzo Bossi ora siede tra i banchi del consiglio regionale lombardo. Per lui si prepara un fulgido futuro politico, alla faccia dei professori.

Insomma, la signora di Latina non ha fatto altro che mettere per iscritto quello che ormai pensano in tanti. Gli insegnanti non godono più di nessuna autorità e non guadagnano abbastanza soldi per permettersi di bocciare i figli di notai, medici, salumieri o politici. Anche se sono somari, o trote.
La mamma del povero Federico è stata soltanto molto ingenua e forse non dispone di buoni avvocati o di parenti ministri.

giovedì 3 giugno 2010

La macchia Nera 4 - James Cameron

James Cameron, il regista premio oscar di Titanic e di Avatar, è stato consultato dall’amministrazione di Obama per trovare una soluzione al problema sempre più tragico dell’emorragia di petrolio nel Golfo del Messico. La notizia è stata accolta con ironia da numerosi giornalisti americani. In effetti la dice lunga sulla disperazione del governo di Washington.
Detto questo, l’idea non era poi così assurda. James Cameron può vantare un’esperienza impareggiabile nelle riprese sottomarine e dispone di una flotta di piccoli sommergibili del valore complessivo di 400 milioni di dollari.
Nonostante ciò, notizia di oggi, la compagnia petrolifera British Petroleum ha declinato gentilmente la sua proposta di aiuto. Forse teme l’effetto negativo che avrebbe sull’opinione pubblica e sulle borse la notizia di una multinazionale del petrolio che si affida a un regista per salvarsi. Affondare sì, ma salvando la faccia, si saranno detti i petrolieri inglesi, memori forse di una scena di Titanic e dimentichi del fatto di averla già persa da un pezzo, la faccia.
Dal canto suo, James Cameron ha commentato in modo lapidario il rifiuto: “sono degli imbecilli e non hanno idea di quello che fanno.” Si è detto sempre più preoccupato per il modo in cui la compagnia sta gestendo il disastro. Il regista, infatti, è anche un convinto ambientalista.
Oggi si è diffusa la notizia che anche Kevin Costner si è offerto di intervenire in aiuto della compagnia inglese con la sua Ocean Therapy Solutions, un’azienda specializzata nella separazione del petrolio dall’acqua. Non si sa ancora quale sia la risposta della BP.
Per il momento, come in un film, comico per l'idiozia dei protagonisti e tragico per gli effetti, la falla continua a perdere inesorabilmente petrolio. Chissà per quanto tempo ancora.

mercoledì 2 giugno 2010

La Rivoluzione Cinese dell'IPad

Steve Jobs è intervenuto alla All Things Digital Conference, sull’onda del successo europeo del suo Ipad, due milioni di copie già vendute, e del nuovo exploit di borsa di Apple. Al momento l’azienda di Cupertino è la società tecnologica a più alta capitalizzazione del mondo, circa 220 miliardi di dollari.
Il Deus ex Machina di Apple non ha evitato le domande su un argomento piuttosto delicato, l’ondata di suicidi che ha colpito una delle principali aziende dove si produce l’Ipad stesso, la FoxConn di Shenzhen. Almeno dodici operai si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno.
Jobs non ha esitato a difendere la società fornitrice e ha ricordato che nella fabbrica di Shenzhen ci sono cinema, piscine e ristoranti. Certo, ha ammesso, il lavoro è duro, ma, per essere una fabbrica, ‘it’s pretty nice’. È abbastanza carina, secondo lui.
Intanto il settimanale Businessweek è riuscito a intervistare gli operai della fabbrica, i quali descrivono una realtà un po’ meno ‘nice’. Lamentano turni di lavoro di dodici ore per sei giorni la settimana e l’impossibilità di fare amicizia, dal momento che la conversazione è severamente proibita e il rumore degli impianti troppo forte. Gli operai della Foxconn hanno appena dieci minuti ogni due ore per andare al bagno. Molti di loro parlano del senso di frustrazione che dà produrre oggetti che non potranno mai acquistare.
Un operaio della Foxconn guadagna 900 Yuan al mese (circa 108 euro). Le organizzazioni sindacali affermano che dovrebbero guadagnare almeno il doppio per avere un livello di vita adeguato ai prezzi dell’area. Altro che ristoranti e cinema. Uno degli operai, Ah Wei, ha dichiarato di soffrire molto il fatto che ‘ogni giorno ripete ciò che ha fatto il giorno prima’. La sua vita, ha ammesso, è ‘senza scopo’.
È curioso che a dire queste cose siano degli operai cinesi. Le loro rimostranze, ovviamente legittime, suonano del tutto inedite. Soprattutto sorprende che qualcuno di loro si lamenti della ‘monotonia’ del lavoro, della mancanza di comunicazione e di interazione umana.
Quando Steve Jobs ha lanciato l’IPad in America l’ha definito un’autentica rivoluzione. Secondo lui, la semplificazione che porta la tavoletta nell’accesso ai canali di informazione, nel tempo libero e nella comunicazione non potrà che accrescere il grado di libertà dei suoi clienti.
Naturalmente non la pensano tutti così. Per esempio, l'antitrust americano ha aperto due giorni fa un'inchiesta sui comportamenti anticoncorrenziali della Mela morsicata.
Quel che è sembra è che l’Ipad e gli altri oggetti attraverso i quali l’Occidente si informa, comunica e si diverte stiano provocando un'altra Rivoluzione, questa sì epocale e inattesa, nella mentalità degli operai cinesi che li producono.

martedì 1 giugno 2010

Bagatelle per un massacro

Cosa può aver spinto i soldati israeliani a sparare sui pacifisti nella notte di domenica 30 maggio? Me lo sono chiesto vedendo le immagini del blitz militare, i corpi dei civili feriti o uccisi sul ponte delle imbarcazioni, i prigionieri sotto il tiro dei soldati armati fino ai denti.
Ciò che è accaduto è noto, non servono inchieste internazionali o ricostruzioni scientifiche dei fatti. I militari israeliani hanno letteralmente perso la testa. La ‘freedom flottilla’ era composta da navi partite da Cipro su cui viaggiavano esponenti di almeno 40 paesi. Tra loro c’erano pacifisti, esponenti politici e intellettuali che portavano 10mila tonnellate di aiuti alla popolazione di Gaza. Tra loro c’era anche Henning Mankell, il più famoso scrittore svedese.
Non pare potesse trattarsi di un manipolo di pericolosi terroristi.
Suona addirittura ridicola la scusa accampata dal viceministro degli esteri israeliano, secondo cui correva voce che sulle navi si fossero infiltrati alcuni membri di Al Quaeda. Una scusa tanto ridicola da essere tragica. Nessun terrorista sano di mente si sarebbe imbarcato insieme a decine di pacifisti, su una flotta di navi che viaggiavano scortate da giornalisti e televisioni.

Com'è noto, l’intento dichiarato del governo israeliano era impedire alle navi di attraccare a Gaza e di dirottarle verso il porto di Ashdod. Nei giorni scorsi ci hanno provato con le buone, senza successo.
L’attacco dell’altra notte doveva essere quello risolutivo. Con tutta probabilità è stato ordinato direttamente dal governo Netanyahu. Un atto di forza, preciso e chirurgico.
Tuttavia, quando i soldati israeliani sono saliti sulle navi, si sono trovati di fronte a una reazione tipicamente ‘occidentale’: la resistenza, passiva e attiva . Qualcuno degli occupanti delle navi, soprattutto fra gli attivisti turchi della Mavi Marmara, si è ribellato all’arresto, ha tentato di menare le mani. Qualcun altro ha fatto ricorso ad oggetti contundenti. Tanto è bastato a scatenare una reazione assurda e sproporzionata. I soldati hanno sparato ad altezza d’uomo, secondo un vecchio istinto appreso durante l’Intifada o una regola imparata alla scuola militare: ogni essere umano che accenna a un gesto ostile può diventare un nemico mortale. E come tale va annientato.

Al momento si parla di dieci vittime e di numerosi feriti. Il mondo intero ha condannato lo stato di Israele, la Turchia è sul piede di guerra, per non parlare dei vicini paesi arabi che non aspettavano migliore occasione per fomentare l’odio antisemita.
Forse oggi Israele dovrebbe interrogarsi su chi e perché ha istillato tanto terrore cieco nei suoi soldati e nei suoi cittadini. Di certo l’episodio non potrà che accentuare l’isolamento politico e morale in cui è caduto lo stato ebraico.