venerdì 30 aprile 2010

Grazie a Dio Mourinho non fa politica

 L’uomo ha carisma, non c’è dubbio. È determinato e vincente, furbo e preparato. Sa motivare gli uomini come nessuno. Non ha cedimenti e non sa cosa vuole dire fare autocritica.
Tutto questo lo rende l’allenatore di calcio migliore del mondo. Qualsiasi società sportiva si svenerebbe per averlo. Il pubblico avversario, nonostante la sua oggettiva antipatia, lo rispetta. Per i tifosi dell’Inter è un eroe, un santo, quasi un mito.

Se José Mourinho non fosse un allenatore, sarebbe un dittatore perfetto.
Ne avrebbe tutte le qualità, oltre a quelle sportive. Non difetta di cinismo e di opportunismo. Sa usare una retorica elementare, ma efficace. È magnetico, soprattutto davanti alle telecamere, grazie a quel suo sguardo da perenne invasato che ti fa chiedere se ci è o se ci fa.
Non dice mai nulla di significativo, ma sembra sempre che stia per dispensare il Verbo.
Non ha rispetto per nessuno. È scorretto, strafottente, antisportivo. Se c’è una persona immatura, quella è Mourinho.
Ha il culto di sé stesso. Non si era mai visto un allenatore capace di correre da solo per tutto il campo col dito alzato dopo un successo della sua squadra. L’ha fatto lui al Camp Nou.
Non ama i suoi giocatori e i giocatori non lo amano. Al massimo lo temono. Mai sentito un giocatore parlare bene di lui.
Come tutti i tiranni, Mourinho odia la bellezza. Le sue squadre giocano in modo elementare, pratico, essenziale. Ama la potenza e non la tecnica.
José, al contrario, è ferocemente abile nel distruggere il gioco altrui. Chissà come ha goduto ieri nel vedere Leo Messi ingabbiato fra i suoi mastini.
Tutto questo gli permette di vincere, ma a prezzo di tensioni fortissime. Come tutti i dittatori, Mourinho ha bisogno di nemici su cui sfogarle. Nemici esterni, il mondo intero, e nemici interni, come Balotelli, immaturo e strafottente quanto lui.

Per fortuna il calcio è l'oppio dei popoli e lo sfogo di tutti i peggiori istinti repressi.
L’unico luogo dove si può ancora parlare il linguaggio della guerra e usare frasi come ‘espugnare il terreno nemico’, ‘annientare gli avversari’ o ‘dare il sangue per una vittoria’ (sempre José).

E, grazie a Dio, Mourinho non fa il politico. Per adesso.

giovedì 29 aprile 2010

Chi ha paura di TIN TIN?



Leggo oggi che un signore di nome Mbutu Bienvenu (o Dieudonné, i giornali e i siti discordano curiosamente) ha deciso di denunciare al tribunale di Bruxelles la casa editrice Moulinsart con l’accusa di razzismo.
Il motivo dell’ira di Mbutu è il fumetto TIN TIN del grande illustratore Hergé, non molto noto in Italia, ma popolarissimo soprattutto in Francia e Belgio.
Mbutu si dice molto offeso dai contenuti di un numero della serie: ‘Tin Tin nel Congo’, appunto. Secondo lui gli abitanti del suo paese sono descritti come individui ‘stupidi e senza qualità’ e come persone ‘poco evolute’.

Nel fumetto si racconta il viaggio di un reporter bianco nel paese africano. Gli abitanti del posto sono uomini e donne neri come la pece, tutti seminudi e con le labbrone bianche. Tutti mediamente stolti, pavidi e sottomessi.
A un certo punto si vede addirittura una donna nera, genuflessa davanti all’esploratore, che dice: ‘il padrone bianco è una creatura superiore, l’uomo bianco ha poteri superiori.’
Detto così sembra già poco adatto a un pubblico di bambini, ma non sottilizziamo.

Non è la prima volta che il fumetto viene messo sotto accusa. Qualche anno fa lo stesso Mbutu aveva chiesto al re Alberto I il ritiro della pubblicazione. In Inghilterra la Commissione di Uguglianza Razziale ha imposto alla catena di librerie Borders di rimuovere l’albo dagli scaffali per bambini e di spostarlo in quello per adulti. Come se il razzismo fosse una sorta di pornografia.

Ora, bisogna tenere conto di un dettaglio. Il fumetto è stato pubblicato nel 1931, in bianco e nero (molto nero in quel caso). Vale a dire, in piena epoca coloniale. Al tempo l’idea del buon negro stupido e pacioso era diffusa in tutta l’Europa. Anzi, era l’unica immagine mentale condivisa di quei popoli di pelle scura, considerati selvaggi e ancora semi-sconosciuti.
D’altra parte era vero, quella gente era stata sottomessa a suon di omicidi, razzie e stupri. Nasceva da lì la sottomissione e il timore verso ‘i poteri superiori’ dell’uomo bianco.

Ora, la mia opinione è che il fumetto sia un pezzo da museo. Un reperto di archeo-antropologia, interessante non tanto perché descrive i neri come primitivi, ma perché rappresenta i bianchi un po' come degli idioti.
Tutti quei luoghi comuni, quei complessi mascherati (i poteri superiori dell’uomo bianco) oggi fanno quasi tenerezza.
Insomma, i primitivi del fumetto sono gli Europei degli anni '30 con la loro visione bianco-centrica del mondo che nel decennio successivo avrebbe raso al suolo l’Europa.

Certo, un po’ di presunzione di superiorità sopravvive ancora oggi, ma solo tra individui ‘poco evoluti’.
Onestamente, mi sorprende di più il fatto che non sia stato un bambino di oggi, bianco o nero non fa differenza, a sporgere una piccola denuncia contro Tin Tin.

mercoledì 28 aprile 2010

Viva viva il Boss




Questa cosa gli stranieri non la capiranno mai.

Niente ci rende più ridicoli e più sospetti agli occhi del mondo. Altro che Piovra o Gomorra.

Ieri, mentre veniva portato fuori in manette dalla questura di Reggio Calabria, il boss della ‘ndrangheta Giovanni Tegano è stato accolto da una folla festante che lo applaudiva e malediceva le forze dell’ordine. Lui salutava con la manina, come un cantante famoso. Lasciatelo stare, gridavano tutti, Tegano è un uomo di pace.
Può essere. Bisognerebbe solo capire su quanti morti si regge, quella pace. Tegano è un criminale efferato. Era latitante da 17 anni e ha già almeno un ergastolo sulle spalle.
Ciò che le telecamere non hanno inquadrato è una probabile folla di vedove, di orfani o di semplici cittadini onesti schiacciati per anni dal terrore del boss.

Ergo, quella folla non rappresenta un bel nulla. Era una claque di pochi tifosi schierati in favore di telecamera. Si vede perfino un bambino (grazie a Repubblica.it), in braccio a un padre amorevole che gli muove le mani per fare l’applauso.

Insomma, era un’esca mediatica, niente di più, di quelle che piacciono tanto ai giornalisti.
Il problema è che basta un’esca così banale per far abboccare come trote di allevamento coloro che credono ciecamente che la Calabria sia in mano alla ‘ndrangheta e l’Italia intera in mano alle Mafie.
Infatti le scene degli applausi hanno già fatto il giro del mondo.

In serata l’altra Reggio è scesa in piazza per manifestare gratitudine e appoggio alle forze dell’ordine. C’era molta più gente e molte meno telecamere.
Proprio oggi si è scoperto che l'albero che a Palermo commemora Giovanni Falcone non è stato spogliato di messaggi e fiori dagli uomini di Cosa Nostra, ma da una anziana signora del luogo con problemi psichici. A volte il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.

ps. c'è un'altra cosa che gli stranieri non riescono proprio a capire. Come mai da un po’ di anni a questa parte gli italiani finiscano sempre per eleggere un premier molto discusso, guarda caso pure lui discretamente abile nel manipolare i media a suo favore.
Ogni relazione tra i due fatti, ovviamente, è puramente casuale.

martedì 27 aprile 2010

La vendetta del Dead Man Walking

Il prossimo 18 giugno, un signore di 49 anni di nome Ronnie Lee Gardner, condannato a morte nello stato americano dello Utah, sarà sottoposto al rito ormai desueto della fucilazione.

A ucciderlo, infatti, non sarà la solita iniezione letale, ma un autentico plotone di esecuzione.

In Usa la notizia sta provocando un dibattito animato. La fucilazione contraddice l’8° Emendamento, una legge secondo cui il condannato non può essere sottoposto a morte violenta, crudele e inutilmente prolungata.

Il problema è che è stato proprio Ronnie Lee a chiedere il plotone di esecuzione. Nel corso del processo si è alzato in piedi e ha fatto solenne richiesta: voglio essere fucilato.
Il giudice non ha potuto dirgli di no. Nello stato dello Utah non si pratica la fucilazione da tempo. Nessuno ne ha più fatto richiesta, ma i legislatori si sono semplicemente dimenticati di abolirla. Così, almeno in questo caso, il condannato l’ha avuta vinta sui giudici.

E, in fondo, il povero Ronnie si può capire benissimo.
L’alternativa è il freddo di una stanzetta, l’odore dei veleni, i legacci ai polsi e alle caviglie, la perdita graduale di coscienza sotto gli occhi di un pubblico silenzioso di parenti e di avvocati.

Un lento morire da bestie dissanguate. Altro che 8° Emendamento.
Al contrario, l’idea di affrontare da solo un intero plotone, petto in fuori e occhi bene aperti (la benda si rifiuta sempre) deve averlo consolato parecchio. Cinque, dieci colpi ed è finita lì.
Certo, la richiesta di Gardner sta provocando anche un discreto imbarazzo.
Quando gliel’hanno comunicato, il governatore dello stato dello Utah deve essere saltato dalla sedia. Come, si sarà detto, nel 2010 c’è ancora qualcuno che pretende di morire in modo così retorico, così patetico? E le divise, i fucili, il generale che dice ‘fuoco’ chi li paga?
Per non parlare dei giornalisti che staranno a ronzare attorno al carcere, l’opinione pubblica spaventata… Maledetta, stupida legge, si sarà detto.

Ma c’è un dettaglio, ancora più interessante, che toglie il sonno ai sostenitori della Pena Capitale.

Ronnie Lee Gardner è stato condannato a morte per aver ucciso un uomo nel 1985. Era un avvocato e lavorava nel Tribunale dal quale Ronnie stava tentando di fuggire. Lui se l’è trovato davanti e l’ha ammazzato. A colpi di arma da fuoco.
Armi contro armi, proiettili contro proiettili. Vi dice qualcosa? Esatto. La fucilazione di Gardner puzza troppo di Legge del Taglione.

Nell’America politicamente corretta, anche la pena di morte è un atto medico, sterile e burocratizzato. Uccidere per legge si può, ma con umanità e sotto controllo medico. Così si tiene pulita l’anima e la coscienza.
Gli spari, l’odore di polvere e il sangue, soprattutto il sangue, sono particolari sgradevoli, da paesi del terzo mondo o da wild west. Roba da selvaggi, insomma.

Ronnie Lee Gardner, quando ha chiesto il Plotone, deve averci pensato.




lunedì 26 aprile 2010

Professor Vladimir

Oggi si è diffusa la voce, più che una voce, una notizia certa, secondo cui il presidente russo Vladimir Putin si sarebbe servito di un servizio di escort specializzate per adescare oppositori, giornalisti scomodi e politici americani e britannici.
Lo scopo era carpire segreti e soprattutto screditare i malcapitati e denigrarli pubblicamente con foto e racconti osé. 

Sempre oggi il premier Berlusconi ha dichiarato che lo stesso Vladimir Putin, amico del cuore, sarà il primo docente di Pensiero Liberale dell’Università da lui appena fondata.
A questo punto resta da capire: chi è il maestro e chi l’allievo?

Faccetta Nera


Alle celebrazioni per la morte di Mussolini, che si tengono ogni 25 Aprile nel paesino dove il Duce fu ucciso, Giulino di Mezzegra, quest’anno c’era anche una bambina. Insieme a tanti anziani, qualche nostalgico dell’ultim’ora e un discreto numero di skinheads, c’era pure lei. Minuta, capelli a caschetto, basco in testa e camicia nera. Dicono le cronache che la bambina ha assistito alla cerimonia con attitudine marziale ed espressione severa. La gioia di papà.
Unica licenza, qualche foto scattata con un Nintendo DS.

Naturalmente si tratta di un’oscenità.
Non tanto perché la camicia era nera e sul basco c’era il simbolo della Repubblica di Salò, ma perché quella bambina indossava una divisa.
Anche se fosse stata la tenuta dei partigiani o la divisa dell’esercito americano, russo o tedesco, l’effetto sarebbe stato ugualmente osceno. I bambini non dovrebbero mai indossare una divisa militare (forse nemmeno quella dei boy scout), nemmeno a carnevale.

Per il resto, pensandoci bene, probabilmente non è una gran tragedia. Come molti bambini ai quali si dà una risposta prima ancora che si siano posti la domanda, la piccola forse crescerà con la voglia di saperne di più. Magari le verrà in mente di aprire dei libri e di scoprire chi era veramente Mussolini, l’eroe con la mascella di acciaio, quella specie di Supermario senza baffi e senza capelli ucciso a tradimento.
E non è detto che alla fine non cambi idea.

sabato 24 aprile 2010

Botox republic

A recently released manual written by a famous plastic surgeon, named Barteletti, puts an end to many fears and legends about the use of Botox and yaluronic acid fillers.

There are no contraindications. Allergic reactions are only 0.007% out of 55,000 cases. Yes, a slight rigidity of facial mimic can be noticed, but after a while the effect wears off and the skin falls down as before.
All that for a few minutes of youthful illusion.
Anyway, the quest of Eternal Youth is a very recurrent theme in Human History. Perhaps, ultimately it ‘s too recurrent in Italy. Not surprisingly, Italy is the oldest country in the world.
Really, You didn’t know that?
Italy has been the first country in history, where the number of sixty years old people exceeded the number of the twenties. It happened in 1995, a world record obtained in advance on all other countries.
In 2020 the Italian population will be formed for 29% of people over sixty years (21% of them over eighty).
Nothing tragic, people apparently grow old very well, in Italy. Without reproducing.
Let’s say only that a future with few young people around seems quite sad. It will be a silent, slow and grey Future. There is nothing to do.
By the way, the effects of general oldness are already visible.
In Italy big changes in Politics or Economics occur very rarely, partly because of our culture and our religion, partly because, let’s say, a large proportion of the population has the head stuck in the past century.

Our young generation is becoming more and more a minority, shy and silent, while at the top of the institutions there are still people who should have retired many years ago.
How could we hope to discuss about reforms, radical changes, new ideas in a country where those in charge have reasonably 5 / 10 years of life ahead?

The president of the Italian Republic is almost 85 years old, the chief of the government is almost 74.
Compared to the leaders of other countries: Sarkozy is 55, Angela Merkel 56, Gordon Brown 59. Barack Obama is 49. What envy!
Now we understand the success of Botox, Facelifts, Transplants and dyed hair. Among so many old people, who seems the younger is intended to win.
In Italy it will be easier, because it's possibile to see real young people less and less around.

Ps. There is Hope. The poor people, the immigrants are still having children. They will bring us the Future. It's happening already. We may like it or not, these people are occupying the empty space that we Italians (so carefully well aging) are leaving.

venerdì 23 aprile 2010

O bella ciao



Da un po’ di tempo a questa parte, ogni 25 aprile si ripete il tormentone: ‘Bella ciao’ sì, ‘Bella ciao’ no.

Tutti gli anni un solerte sindaco di centro-destra si prende la responsabilità di bandire la canzone, con motivazioni più o meno fantasiose, ma tutte legate allo stesso assioma: è una canzone di parte, non rappresenta più lo spirito di pacificazione e di unità che si è diffuso nel paese negli ultimi anni.

Intanto, ricordiamolo, i partigiani sono esistiti davvero.
Non sono un mito letterario e nemmeno personaggi inventati dalla retorica post-bellica.
Se ne parla sempre meno, è vero, e con un certo fastidio. Forse perché sono stati una delle parti in causa nella Guerra Civile Italiana che si è combattuta tra l’8 settembre 1943 e il 25 Aprile 1945. L’altra parte, si sa, erano i repubblichini della RSI, lo stato fantoccio retto da Mussolini, a sua volta controllato da Hitler. Di questi ultimi non si può parlare bene, non ci si riesce proprio, anche volendo.
Tanto vale non farlo nemmeno dei partigiani.
Anzi meglio non parlarne proprio. Brutte storie, brutti ricordi. Così vuole la Par Condicio dell’ignoranza e dell’oblio, oggi così di moda.

L’altro argomento contro ‘Bella ciao’ è che i partigiani erano tutti comunisti e combattevano per conto di Stalin. L’ha fatto scrivere ieri sui manifesti della provincia di cui è presidente (Salerno) un politico passato alla storia per una legge non proprio esemplare: il signor Cirielli.
Secondo lui la liberazione è avvenuta solo per merito degli Americani.
I partigiani infatti erano nemici, pure loro, tutti rossi comunisti manipolati da Mosca.

A questo signore basterebbe aver letto il Partigiano Johnny e magari almeno 1 (un) libro di storia per sapere che sono esistiti partigiani rossi, bianchi (cattolici democristiani) e azzurri (liberali e monarchici).
Ma si sa, i programmi scolastici non arrivano fino alla liberazione. Meglio non dire, meglio non sapere.

L’ultima trovata: il sindaco leghista di Mogliano Veneto vuole far suonare “La canzone del Piave’ al posto di ‘Bella Ciao’. Come nota oggi Gramellini sulla Stampa, il Piave mormorava nel 1918 e lo ‘straniero’ allora erano gli Austriaci.

Non ci siamo, signori. Il 25 Aprile è la festa della Liberazione dai nazi-fascisti, quelli di fuori (Nazi) e quelli di dentro casa (Fascisti). Se poi è quella parola, Liberazione, che offende la coscienza di queste persone, questo è soltanto un problema loro.

Ps. l’Anp, l’Associazione Nazionale Partigiani è viva e in salute. Oltre agli ottantenni superstiti, che ancora manifestano il loro orgoglio per avere combattuto sui monti, tanti altri giovani hanno deciso di farne parte. Negli ultimi tre anni l’associazione è passata da 87.000 a 110.000 iscritti.
Lunga vita al Partigiano.

Giorgio Gaber canta o bella ciao
http://www.youtube.com/watch?v=Kyj2N4uYOk0

giovedì 22 aprile 2010

Tu quoque Fini, filii mii

Tralascio i commenti sullo spettacolo pietoso del mezzogiorno di fuoco in casa Pdl tra Fini e Berlusconi. Mai visto uno sputtanamento più clamoroso delle alte cariche dello stato (Napolitano dì qualcosa!).

Noto che qualcuno già indica Fini come il vero oppositore di Berlusconi, al posto di PD, UDC, IDV.
Può essere. Fini però continuerà ad avere voce finché resterà attaccato a Berlusconi come una sanguisuga. Se molla e passa all’opposizione, finirà relegato nelle ‘brevi’ come tutti gli altri.

In gergo pubblicitario si chiama ‘share of voice’, l’indice di visibilità di un prodotto o di un politico. In Italia il monopolio lo detiene una sola persona, che si chiama Silvio Berlusconi.
Tutti gli altri vivono di luce riflessa.

La carica dei 101


“Il corpo faccia ciò che vuole. Io sono la mente.”
Fantastico no? La frase è di Rita Levi Montalcini che compie oggi 101 anni. E la notizia vera è che la signora è ancora lucida e lavora oggi più che mai. Tanto di cappello, davvero.
Qualcuno forse avrà letto il mio post di ieri ‘Botulino Republic’, in cui lamentavo l’inesorabile invecchiamento del paese e soprattutto dei suoi governanti.
Be’, oggi mi tocca aggiungere che, per fortuna, in Italia ci sono tanti anziani invecchiati bene, senza colpi di lifting o botulino, che ci danno ancora molti punti e sono un esempio da seguire.
Avercene centenari come la Montalcini. Ma anche cinquantenni, trentenni, ventenni…

Un brutto anatroccolo nero


Martedi sera, nel corso della partita vinta dall’Inter contro il Barcellona, Mario Balotelli è stato insultato dal suo allenatore, linciato verbalmente da 80.000 persone e assalito fisicamente dai compagni. Il giorno dopo, tutti i giornali lo hanno vivisezionato.
La società lo multerà. Se esistesse ancora la corte marziale, Mario sarebbe stato condannato alla fucilazione per alto tradimento.

Vero, Balotelli ha giocato un quarto d’ora da schifo, ma un’ostilità così violenta non si spiega. Non si è mai visto un accanimento tanto rabbioso contro un solo giocatore. E la reazione scomposta di Mario, la maglia gettata a terra, è stata più che comprensibile.

A Mario non va più di fare la vittima sacrificale, il capro espiatorio.
Vinca o perda, Mourinho gli attribuisce sempre qualche colpa. Perfino quando non gioca.
Balotelli è il parafulmine di tutti i problemi dell’Inter.
Ma perché lui e non un altro?

Mario è un bersaglio facile. Sul suo conto gira una brutta fama di ragazzo viziato e arrogante. I soldi gli hanno dato alla testa, dicono. Ha talento sì, ma non s’impegna. È come un anatroccolo che non è ancora diventato un cigno.
Un brutto anatroccolo nero, come il colore della sua pelle.

Infatti, Mario Balotelli è un ‘nuovo’ italiano. I suoi genitori sono ghanesi, suo padre si chiama Thomas Barwuah, la madre Rose. Quando era ancora molto piccolo, hanno dovuto affidarlo a una famiglia italiana di Bagnolo in provincia di Brescia, perché non avevano abbastanza soldi.
Mario è cresciuto, è diventato un ragazzo alto, prestante, veloce. Dotato di mezzi fisici e tecnici che ne fanno un fuoriclasse assoluto. Il migliore oggi in circolazione.

Il colore della sua pelle però gli attira insulti negli stadi di tutta Italia. Alcuni suoi colleghi calciatori giustificano i ‘Negro di merda’ e i versi della scimmia che gli vengono rivolti dai tifosi così: “non è mica razzismo,” dicono, “è lui che è antipatico.”

Sarà antipatico, però Balotelli è anche un fenomeno nuovo. Qualcosa che il pubblico italiano ancora non conosce e non accetta. Hai voglia a negare. Quando gioca male lui, nel retrocervello ti dici che è un italiano fasullo, uno che guadagna troppo. Ha donne, auto e case che gli italiani veri si sognano. E il fischio, l’insulto viene fuori quasi naturale, catartico.
Balotelli è l’eccezione nell’ordine corretto delle cose.

Con questo stato d’animo il ragazzo va in campo, quando ci va.
A sfidare chi lo considera un abusivo, un privilegiato dalla sorte che l’avrebbe voluto lavavetri o vucumprà.
Mourinho, spietato e cinico com’è, lo sa bene. E sa come usare la sua rabbia di ragazzo cresciuto senza una vera patria e senza una vera famiglia.

Di recente il Ghana ha offerto a Mario di giocare per i suoi colori. Fossi in Balotelli ci farei un pensierino.

mercoledì 21 aprile 2010

Botulino republic

È appena uscito un manuale di un noto chirurgo plastico, tale Barteletti, che mette la parola fine a tante paure e a tante leggende sull’uso del Botulino e dei filler di acido ialuronico.
Non ci sono controindicazioni. Le reazioni allergiche sono solo lo 0,007% dei casi su 55.000 interventi. La rigidità della mimica facciale si nota un po’, ma poi l’effetto svanisce e la pelle torna cadente come prima. Tutto questo per qualche minuto di giovinezza illusoria.
Niente di strano, la ricerca dell’eterna giovinezza è un tema da sempre attuale.
Forse ultimamente lo è un po’ troppo in Italia, non a caso il Paese più vecchio del mondo.

Come, non lo sapevate? Non ci avevate pensato?
Il nostro è stato il primo paese nella storia dell’umanità in cui il numero dei sessantenni ha superato quello dei ventenni. È accaduto nel 1995, primato mondiale ottenuto con largo anticipo su tutti gli altri paesi.
Nel 2020 la popolazione italiana sarà formata per il 29% da persone con più di sessanta anni (di cui ben il 21% ultraottantenni)
Niente di tragico, evidentemente in Italia s’invecchia bene. E ci si riproduce poco.
Diciamo però che un futuro con pochi sparuti giovani mette un po’ di tristezza. Sarà un futuro silenzioso, lento e grigiastro, non c’è niente da fare.

D'altra parte, gli effetti dell'invecchiamento generale si vedono già.
In Italia le novità faticano molto a passare, un po’ per cultura e per religione, un po’ perché, ammettiamolo, una grossa fetta della popolazione ha i piedi, le gambe e la testa nel secolo passato.

I giovani sono diventati una minoranza sempre più timida e sempre più silenziosa, mentre a capo delle istituzioni ci sono persone che dovrebbero essere in pensione da più di un lustro.
Come volete che si parli di riforme, di cambiamenti radicali, di idee nuove in un paese in cui chi comanda ha ragionevolmente davanti a sé 5/10 anni di vita al massimo?
Il presidente della repubblica italiana ha quasi 85 anni, il capo del governo in carica ne ha quasi 74.
E i leader degli altri paesi? Sarkozy ha 55 anni, Angela Merkel 56, Gordon Brown 59. Barack Obama ha 49 anni. Che invidia.

A questo punto si spiega il successo del botulino, dei lifting, dei trapianti e delle tinture. Tra tanti vecchi, chi sembrerà più giovane è destinato a vincere.
Aggiungo: in Italia ciò sarà sempre più facile, perché di giovani autentici se ne vedranno in giro sempre di meno.

Ps. Una speranza: piacerà o no, ma chi ci porterà i bambini saranno gli immigrati, i poveracci, i clandestini e i disperati che fanno ancora figli. Sta accadendo già, guardatevi attorno. Purtroppo o per fortuna, queste persone stanno occupando lo spazio vuoto che noi italiani (così attenti a invecchiare bene) stiamo lasciando.

martedì 20 aprile 2010

La trota non tiene per l'Italia

Il piccolo Bossi, meglio noto come 'la trota' ha dichiarato che non tiferà italia ai mondiali di calcio. La notizia fa scalpore, interviene anche una gloria del nostro calcio, Gigi Riva, per emettere giusta condanna: 'è un bambino, se non si sente italiano cambi paese.'
Ora che Renzo Bossi non sia un amante dell'Italia (e dell'Italiano) si sapeva da un pezzo. Stupisce che le esternazioni di un ragazzino poco più che ventenne scuotano l'opinione pubblica nazionale fino a questo punto.
O la Lega fa davvero tanta paura (ma solo quando fa comodo) oppure la nazionale di calcio è l'unica cosa che davvero unisce ancora questo Paese a brandelli (tricolori).

lunedì 19 aprile 2010

Se c’è la goccia?


Se sapete rispondere a questa domanda ciò significa che: 1) siete anzianotti e 2) siete stati anche voi vittime inconsapevoli di una campagna pubblicitaria degli anni ’80, che continua a mietere vittime ancora oggi, più longeva di una bottiglia di plastica in mezzo al mare.

Tutto questo preambolo per parlare di pubblicità.
Non ci sarebbe bisogno di dirlo, ma ripetiamolo: la pubblicità condiziona le nostre scelte, i nostri comportamenti e i nostri valori.
Anche a esserle del tutto impermeabili (cosa impossibile) finiamo tutti col fare ciò che vuole lo spot in tv, l’annuncio sul giornale o il cartellone che fissiamo tutte le mattine con aria di superiorità.
Forse non compreremo mai il prodotto pubblicizzato, ma presto o tardi daremo ragione al suo messaggio: lava più bianco, mangia più sano, vesti più elegante, seduci seduci seduci…

Premetto: io vivo come tutti immerso nella pubblicità e come tutti ne sono condizionato. Tento di decifrare i messaggi e di discernere quanto di buono mi possano comunicare.
Eppure so di esserne schiavo. Come tutti.
La mia generazione si è formata con la tv commerciale. Il nostro mondo è sempre più posticcio, industriale, come quello del Truman Show. Nei nostri desideri, anche in quelli primordiali come il sesso, c’è sempre più plastica.

Ecco perché mi spavento quando sento qualcuno che si dichiara immune dalla Pubblicità.

Non sono in pochi. Chiedete ad amici e parenti quanta attenzione le dedicano. Ottanta su cento vi diranno che ‘non la guardano mai.” Oppure chiedete loro se danno retta ai ‘consigli per gli acquisti’. Stessa risposta o quasi. A me la pubblicità fa un baffo, vi diranno.
Può essere. A me però le persone che rispondono così ricordano certi signori baldanzosi che si dicono sicuri di non ammalarsi mai. Vanno in giro poco coperti pure in inverno, stanno male e non prendono medicine. Non riconoscono i sintomi e, quando si ammalano, sono convinti di non avere nulla.

Così molti di noi agiscono e pensano senza rendersi conto di replicare modelli di compartamento, suggestioni e slogan appresi mesi o addirittura anni prima.
Sono stati contagiati e non lo sanno.
Da quando la politica ha imparato a usare i linguaggi del marketing, poi, il problema sta diventando sempre più spinoso.
In Italia ne sappiamo qualcosa.

Chiudo con una speranza. La sovraesposizione alla pubblicità mi pare stia rendendo immuni le nuove generazioni.
Ne hanno visto e sentito troppe. E troppo grosse.
Forse i giovanissimi non credono più in niente, è vero, ma almeno non si lasciano imbrogliare tanto facilmente da uno slogan ben costruito, da un tanga di pizzo o da un sorriso Durbans...
Ecco vedete, ci sono cascato anch’io.

ps. la foto è tratta dalla collezione dell'artista visuale Francesco Arena e pubblicata sul sito http://www.placesofart.com/arena_francesco.htm

domenica 18 aprile 2010

È giusto o no scrivere di mafia?


È giusto o no scrivere di mafia?

Nelle ultime 48 ore la questione è tornata di attualità dopo che il premier Silvio Berlusconi ha espresso nuove e dure critiche agli scrittori e sceneggiatori che hanno raccontato e raccontano la Mafia. Secondo lui gettano discredito sul nome dell'Italia nel mondo e attribuiscono alla mafia un fascino pericoloso. Fra tutti ha citato gli autori della Piovra e di Gomorra, quindi Roberto Saviano.

Roberto come suo solito ha risposto per le rime, ravisando in questo attacco un invito a tacere, a nascondere, a dire che va tutto bene. E magari a scrivere di adolescenti innamorati o di casalinghe disperate. No, ha risposto Saviano, lui non è tipo da tacere. Non è tipo da vedere le cose e voltarsi dall’altra parte.

A me intanto sembra che in questa affermazione di Berlusconi ci sia almeno un vizio di fondo. Lui confonde la Cronaca sulla mafia con la Fiction sulla mafia.

È vero, la ‘mafia’ è un genere letterario. Nasce in Usa con Mario Puzo e i suoi tre libri sul Padrino e arriva fino ai Sopranos, famosa serie televisiva, che si è conclusa dopo 86 episodi tutti di enorme successo. In Italia la fiction per eccellenza sulla Mafia è stata la Piovra, insieme a film come l’onore dei Prizzi e Dimenticare Palermo.

Ora, i generi letterari o cinematografici non possono essere giudicati buoni o cattivi. Sono finzione e si alimentano di fantasia. Il mondo del Padrino è totalmente surreale, i valori sono estremizzati e i toni sono quelli di una tragedia greca. Nessuno al mondo, credo, si è mai deciso a fare il mafioso dopo aver visto Marlon Brando con le guance imbottite. Nessuno.

Altra cosa è la cronaca. Gomorra rientra in un genere che non è immaginario. Saviano l’ha detto tante volte. I fatti che racconta sono accaduti e documentati. Non crea finzioni romanzesche, semmai racconta minuziosamente ridicoli vizi, miserie e crudeli riti criminali. Nulla di affascinante, ma prezioso per noi per capire la mentalità e il modo di agire dei mafiosi.

In questo, il lavoro di Saviano non è lontano da quello di Giancarlo Siani, trucidato dalla camorra il 22 settembre 1985 per una serie di articoli sgraditi ai boss, poco prima di compiere 26 anni. E si potrebbero ricordare Peppino Impastato, Mauro de Mauro e tanti altri che hanno avuto il coraggio di parlare e scrivere contro le mafie e per questo hanno perso la vita. Non facevano letteratura, combattevano soltanto il silenzio, la paura e l’ignoranza.

Su una cosa ha ragione Berlusconi. La cronaca e la fiction hanno diffuso nei cinque continenti l'idea orribile Italia=Mafia.

C'è solo un modo per uscirne. Ricordare a tutti che l'Italia ha saputo produrre oltre alla malattia anche i suoi anticorpi: i giudici, i poliziotti, i giornalisti e gli scrittori che con il loro lavoro sfidano la mafia tutti i giorni. Quelli sono i buoni del nostro film e di loro si dovrebbe parlare molto di più.

A Saviano, a Lirio Abbate, a Rosaria Capacchione e a tanti altri giornalisti che ostinatamente scrivono di mafia e camorra può andare soltanto l'incoraggiamento e la stima incondizionata di tutti.

giovedì 15 aprile 2010

Fini viene, Fini va...


Fini se ne va, Fini litiga con Silvio, Fini fa gruppo a sé…
Notizia di oggi. Qualcuno per un po’ ci crede. Alcuni milioni di italiani, ostili all’asse Berlusconi-Bossi incrociano le dita. Fanno un po’ come quelli che soffiano davanti alla televisione quando il pallone non ne vuole sapere di varcare la linea di porta. Dai, forza, un centimetro, solo un pochino…
Poi pensandoci bene, si capisce il motivo molto probabile per cui Fini se l’è presa tanto. Già, perché?
Proprio oggi Umberto Bossi ha dichiarato che il prossimo premier sarà un leghista. Quindi ipso facto non sarà Fini. Addio sogni di gloria.
Se fosse questo il motivo, il gioco del Fini nazionale diventerebbe chiaro. E meschino. In questi mesi tutto il suo ciarlare di riforme, di profilo istituzionale, di equilibrio tra i poteri dello stato serviva solo a preparargli una poltrona da primo ministro da occupare all’ombra del Joker di Arcore, nel frattempo assurto a presidente plenipotenziario della Repubblica.
Si spiega così pure quella strana frase pronunciata in un liceo romano qualche giorno fa: “le riforme (come il presidenzialismo alla francese) si possono fare anche con l’appoggio della sola maggioranza.” Proprio lui che era stato il difensore delle larghe intese…
A questo punto a Gianfranchino restano due possibilità: o si trova l'ennesimo padre-padrone che gli promette un limpido futuro politico, che è molto improbabile, oppure dovrà rassegnarsi a restare sotto l’ala di Silvio ancora a lungo.
Ammesso che Berlusconi abbia ancora voglia di tenercelo.

mercoledì 14 aprile 2010

Philip Roth e le interviste impossibili


Questa storia non ha avuto grande eco sui giornali e sulle televisioni italiane.
Eppure continua a suscitare reazioni di curiosità e sconcerto negli ambienti giornalistici di mezzo mondo.
La scoperta si deve a Paola Zanuttini di Repubblica. Lo scorso febbraio, nel corso di un’intervista sul suo nuovo libro, Umiliazione, ha chiesto allo scrittore americano Philip Roth se fosse vero che Obama l’aveva parecchio deluso.
Roth è caduto dalle nuvole, ha smentito e le ha chiesto alla Zanuttini dove l’avesse letto. Lei ha risposto che l’aveva dichiarato lui stesso in un’intervista pubblicata lo scorso novembre su Libero a firma di Tommaso Debenedetti.
“Non è vero nulla,” ha protestato Roth, “Obama è fantastico”. Subito dopo ha chiamato il suo agente, il quale ha confermato che lui con questo Debenedetti non ha mai parlato in vita sua.

Ora, in America il giornalismo è ancora una cosa seria e la notizia ha destato subito una certa curiosità. I redattori del NEW YORKER hanno sentito odore di bruciato. Una di loro, Judith Thurman si è messa sulle tracce dell’intervistatore Tommaso Debenedetti e ha scoperto che si tratta di un freelance poco noto che si occupa di letteratura e collabora saltuariamente con alcuni giornali italiani.
Con una certa sorpresa, poi, è venuta a sapere che Debenedetti vanta al suo attivo almeno una ventina di interviste con il meglio del jet-set letterario mondiale: Nadine Gordimer, Abraham Yeoshua, Gunter Grass, José Saramago, J.M.Coetzee, Le Clézio, Toni Morrison, Amos Oz, Wilbur Smith, John Grisham, Gore Vidal,
Herta Müller e così via.
Nessuno dei massimi scrittori viventi sembra potergli sfuggire.
Quasi tutte le interviste sono state pubblicate sul giornale di triestino Piccolo, sul cui sito ilpiccolo.gelocal.it sono tuttora reperibili (e speriamo vi rimangano, a futura memoria).

La Thurman, colta da invidia e da un malizioso sospetto, si è presa la briga di interpellare gli scrittori intervistati.
Tutti, nessuno escluso, hanno dichiarato di non ricordare di avere parlato con Debenedetti di persona e tantomeno al telefono.
G. Grass è addirittura certo di non avergli mai rilasciato un’intervista. L’autore del Tamburo di Latta, dice il suo agente, ha una memoria infallibile e si sarebbe ricordato certamente di lui. La scrittrice romena, Premio Nobel 2009,
Herta Müller ha fatto dichiarare da un suo agente stampa (lei non parla con i giornalisti) di non avere mai concesso interviste a nessuno. Doctorow dichiara addirittura che il linguaggio e l’immaginario che gli viene attribuito nell’intervista con Debenedetti è semplicemente ‘impossibile’.

Il passo seguente della coriacea redattrice del NEW YORKER è stato andare a chiedere spiegazioni al Piccolo di Trieste. Uno dei capiredattori del quotidiano, Mazzena Lona, ha dichiarato di avere sempre considerato Debenedetti un collaboratore valido e affidabile, tanto da non avere bisogno di richiedergli uno straccio di prova. Motivo di tanta fiducia, ha ammesso Mazzena Lona, era il fatto che Debenedetti appartiene a un’illustrissima famiglia di letterati.
Tutto vero, il nonno del nostro Debenedetti è stato uno dei più importanti critici letterari italiani del ‘900, Giacomo Debenedetti. Il padre, Antonio è un noto giornalista del Corriere della Sera e apprezzato scrittore.
A parte questi dettagli, però, la risposta del direttore del Piccolo avrà di certo fatto sobbalzare la nostra Thurman. Non deve essere abituata, infatti, a valutare l’attendibilità delle notizie basandosi sulle ascendenze dinastiche delle fonti.
Quanto al quotidiano Libero, dalla redazione dichiarano che l’autore era solo un collaboratore saltuario. Solo per caso la famosa frase contro Obama attribuita a Philip Roth era in linea con l’area politica (centro-destra) alla quale il giornale s’ispira.
A onore di Debenedetti va detto che sul Piccolo, di proprietà di un editore vicino alla Sinistra, era uscita in precedenza un’altra intervista (pure quella smentita) a Philip Roth, in cui l’autore di Pastorale Americana dichiarava di essere ‘innamorato’ del presidente Obama.
Quando si dice la Par Condicio.

A questo punto a Judith Thurman non restava che interpellare lui, Tommaso Debenedetti. Il suo numero di telefono cellulare lo ha ottenuto grazie a una soffiata della redazione del Piccolo (vendetta? senso di colpa?).
Meno male che la giornalista del New Yorker conosce l’italiano. Debenedetti infatti ha ammesso subito di non parlare bene l’inglese. Poi si è corretto dicendo di masticarlo quanto basta per fare domande e capire le risposte. Come abbia fatto a parlare con tutti quei premi Nobel non è dato sapere.
Il freelance, poi, si è detto sorpreso e addolorato per la smentita di Roth. Secondo lui il voltafaccia si giustifica con la paura del grande scrittore di perdere ogni chance di vincere il premio Nobel. Secondo prassi italiana, Debenedetti ha minacciato di adire alle vie legali contro di lui.
A questo punto la redattrice del NEW YORKER gli ha rivolto la domanda della verità. “caro collega: se è così sicuro, avrà sicuramente conservato le prove delle sue interviste. Dove sono le registrazioni, i taccuini, gli appunti?”
“Quali prove?” ha risposto Debenedetti. Una parte dei materiali ha detto di averla perduta, l’altra invece l’ha distrutta con le sue mani.
La risposta non farebbe una piega, se Debenedetti non fosse un giornalista e di solito un giornalista non si libera delle sue pezze d’appoggio, nemmeno sotto minaccia di arma da fuoco. Figuriamoci se si tratta delle conversazioni con una decina di premi Nobel.
In conclusione di telefonata, Debenedetti ha dichiarato di avere interrotto i rapporti con l’illustre padre Antonio. Evidentemente tra i due non corre buon sangue.

Non sappiamo se la storia finirà qui o ci saranno nuovi clamorosi sviluppi. La vicenda certo non dice nulla di buono sullo stato di salute del giornalismo italiano. È bastato un nome altisonante e qualche dichiarazione ben piazzata a favore dell’una o dell’altra parrocchia politica per ammaliare direttori di giornali e intere redazioni.
Nessuno poi si è posto il ragionevole dubbio che tanti bei nomi della letteratura non li avrebbe messi insieme nemmeno Oriana Fallaci.
Non credo infine che qualcuno degli scrittori sporgerà denunce. Anche se premi Nobel, gli scrittori sono persone sportive. Né, credo, lo farà il buon Debenedetti, a meno che non riesca a recuperare dalla spazzatura o dal camino qualche brandello di prova, se mai ne è esistita una.

Parlando di letteratura, a me piace pensare che il nostro Freelance sarebbe stato simpatico al Borges di Ficciones e Otras Ficciones, all’Italo Calvino delle Città Invisibili o a Umberto Eco delle Interviste impossibili. Forse, perché no, anche al Barone di Munchausen.


Post scriptum
Qualche mese fa è comparsa sui giornali la notizia della morte di Antonio Debenedetti, il noto giornalista/scrittore padre di Tommaso. ‘Coccodrilli’ e messaggi di cordoglio come se piovesse
La notizia però era falsa e lo stesso giornalista si è trovato a dover smentire con un certo imbarazzo la notizia del suo decesso. “È stata una prova generale,” ha detto. Infine si è dichiarato meravigliato dal fatto che alcuni giornali riportino le notizie senza nemmeno verificare l’autenticità delle fonti.
Parole sante.



martedì 13 aprile 2010

Quanto vale la libertà



Una strana malattia si diffonde per l'Europa e i paesi occidentali. La libertà e la democrazia stanno sempre meno a cuore dei cittadini del mondo ‘libero’. Leggo oggi che un quarto degli abitanti tedeschi prova nostalgia per la Germania dell'est e per il muro di Berlino. Alle ultime elezioni regionali francesi, l'astensionismo ha raggiunto percentuali record, insieme all’estrema destra di Le Pen. Non è un caso isolato: in tutta Europa rifioriscono partiti che s’ispirano a dittature militari del passato. L'Italia non è da meno. Chiunque, almeno una volta, ha sentito in giro fare discorsi di questo tipo: ‘io alle prossime elezioni non voto, tanto non serve a nulla.’ Spesso a parlare così è un giovane, magari un ragazzo o una ragazza poco più che ventenni. Eppure nello stesso momento, in altre parti del mondo, i dissidenti di regimi totalitari pagano con l'emarginazione, con le torture e spesso con la vita il diritto a esprimere una critica o a disporre di un'informazione, se non libera, almeno minimamente plurale. Sono paesi come l’Iran, Cuba o la Cina, in cui le scelte politiche sono preordinate dalla nascita per tutti i cittadini. In Iraq o in Afghanistan, la gente oggi può votare liberamente, a rischio però di saltare in aria nel tragitto da casa propria al seggio. Eppure anche in quei paesi, le percentuali di votanti sono spesso superiori alle nostre. Non solo, basta fare un giro sui siti clandestini e i blog per ascoltare la voce di milioni di ragazzi senza libertà che mandano messaggi disperati, raccontano mondi senza dignità e senza parola. Quelle persone chiedono un aiuto. E lo chiedono alle democrazie, alla gente libera come noi, probabilmente perché ritengono che chi gode della libertà non sopporti di vederla negata a un altro essere umano. Non sanno che invece dalle nostre parti l’idea di libertà è in via di estinzione. Noi la libertà l'abbiamo sempre avuta, più o meno perfetta, più o meno pulita, come l'acqua o l'aria. Ci siamo nati dentro, per questo non c'interessa più. Non è un bene alienabile e perciò, secondo la logica di mercato, non vale nulla. Non ho la pretesa di fare analisi sociologiche o politiche. Prendo solo atto di una realtà che si percepisce in giro sempre più netta. Sarei curioso di sapere quale risultato verrebbe fuori da un sondaggio di questo genere: quanto vale oggi la libertà per noi? Parlo proprio di euro: vale più di un telefono cellulare, meno di un'auto di lusso o di un appartamento in centro? E quanto saremo disposti a spendere per avere garantita la libertà di parola, la libera circolazione e l'accesso a un'informazione decente e non condizionata tutti i giorni dal volere di un capo? Oggi il prezzo da pagare per la libertà è zero. In futuro però potrebbe essere molto più alto.